Parrocchia Chiesanuova

La parrocchia


La parrocchia

Consacrazione della Chiesa: 21 luglio 1934

Cenni storici: Lungo la via per Vicenza, detta Pelosa non molto lontano da Padova, in località Vedeita, che troviamo nominata per la prima volta il 23 maggio 1183 nella divisione delll’eredità di Albertino da Baone tra le sue figlie ad opera di Tiso da Camposampiero, esisteva una chiesa che nella “prima cartula dathie episcopatus” padovano del 1221 viene elencata tra le “capelle Padue et que pertinent ad archipresbiteratum”, l’“ecclesia de Vedeita” con una dadia di “lib. VIII pro C lib.”.
Ce ne fa conoscere il titolare un atto di vendita all’asta del terreno, redatto il 31 gennaio 1232 “in monastero et ecclesia S. Iacobi de Vedeita”.

Tra le “capelle” della Cattedrale l’“ecclesia S.Iacobi de Veita” è elencata dalla decima papale del 1297 col suo prete Bernardino. Nell’estimo papale del 1297 è valutata 20 lire di piccoli. Le visite pastorali della fine del secolo XVI e XVII ce la presentano già come oratorio della parrocchia di Chiesanuova. E’ chiamata la “Giesiole” nella visita del Vescovo Ormaneto del 1572. “Alias era parochialis, ut asseritur” - informa la visita seguente del 1587 -; il suo beneficio era stato unito alla cappella dei Santi Simone e Giuda della Cattedrale.

Una trentina d’anni dopo, il 9 marzo 1620, il visitatore generale, monsignor Marcantonio Zanibon andato a visitare “ecclesiam S. Iacobi de Vieto... quae quidam ecclesia , ut aiunt, olim erat parochialis, nunc verum prorsum est diruta et in ea nihil aliud reperitur quam paretes semidirutae et turris campanaria sine campanis, ruinan minans et ideo ipsam mandavit penitus distrai et materia ipsius applicari usibus piis. Ecclesia autem ipsa est posita in quodam cimiterio in quo de praesenti non sepellitur. Mandavit autem in medio areae in qua nunc dicta ecclesia sita est, ubi fuerit diruta, erigit super columnella crucem ferream”.

Quella croce c’era ancora nel 1698 quando il notaio di curia G. Bertazzi compose lo “stato della diocesi di Padova”, dove tra gli oratori di Chiesanuova è elencata “colonnella con croce, segno della chiesa di San Giacomo di Vieta distrutta”. L’aver essa avuto beneficio, sacerdote e cimitero propri parrebbe convalidare la tradizione cui si rifanno le visite pastorali, della parrocchialità di san Giacomo di Vedeita o Vieta.
Però non si spiega come il decreto di fondazione della parrocchia di Chiesanuova, la quale assorbì anche san Giacomo di Vedeita col territorio circostante, non solo non se ne parli espressamente, ma pur riconoscendo l’esistenza dei diritti preesistenti, neanche la presupponga: tutto il territorio della nuova parrocchia era stato della parrocchia di San Giacomo di Pontemolino (ora Carmine).

A quell’atto di fondazione da parte del vescovo, il 21 febbraio 1383, oltre all’arciprete ed un canonico della cattedrale erano presenti Antonio da Mantova e Pietro Ganzuto da Padova, i due rettori di san Giacomo di Pontemolino. I primi rappresentavano il capitolo della cattedrale, che sul territorio in causa godeva diritti decimali, e probabilmente era fondatore e proprietario della chiesa di San Giacomo di Vedeita, che il nome del titolare e l’apposizione “monasterio” del documento del 1232 fanno pensare sia stato , almeno inizialmente, un ospizio per pellegrini in arrivo e solo in seguito abbia esercitato di fatto un po’ di cura d’anime nella zona circostante.

Il capitolo riassorbì, dopo l’istituzione della parrocchia di Chiesanuova, il beneficio di san Giacomo di Vedeita per unirlo alla sua cappellania dei Ss. Simone e Giuda, unione confermata dalla sentenza vescovile del 27 novembre 1443.

Dei due rettori di San Giacomo di Pontemolino si dice “espresse consentientibus”, appunto perché fino allora era stato soggetto alla loro parrocchia il territorio che veniva a costituire la nuova parrocchia. Si trattava di tutta la zona che dalle porte occidentali di Padova, dell’Arzere (porta Trento) allora murata e S. Giovanni si estendeva fino a Ponterotto, a Montà, al Ponte sul Bretella e al Ponte della Storta. Gli abitanti di questa vasta zona – dice il Vescovo – e per la lontananza e per l’inclemenza della stagione, specialmente d’inverno e per le difficoltà delle strade erano impediti dal frequentare le chiese della città per compiere i loro doveri religiosi. Di notte poi, la chiusura delle porte impediva anche ai sacerdoti di uscire dalla città per l’assistere, specialmente nel caso di epidemie, gli ammalati, con pericolo che morissero senza gli ultimi sacramenti.

Per questo il vescovo aveva dato licenza al nobile e virtuoso padovano Simone degli Statuti di costruire una chiesa “extram portem Savonarole civitatis Padue... sub invocatione S. Mariae novae iuspatronatum in illa sibi specialiter reservando. Nos ad quem huismodi subditorum nostrum animarum cura omnino spectare dignoscitur, cupiendo facilorem ad spiritualia eisdem subditis nostris aditum preparare”, in seguito pure alle istanza del fondatore, senza pregiudizio dei diritti di decima e quartese preesistenti, “curam omnimodam animarum omnium et singularum personarum habitantium in locis... descriptis et infra eorum termino set confines sacerdoti, qui in dicta ecclesia S. Maria Nove pro tempore fuerit canonice istitutus libere committendam duxibus et ex nunc irrevocabiliter et in perpetuum committimus”. Portenari e il Gloria dietro a lui affermano che questa prima chiesa fu distrutta nel 1513 in occasione del “grande guasto” dei sobborghi di Padova voluto da Venezia.

La cosa non è sufficientemente provata e d’altra parte non si capisce come abbia invece potuto salvarsi la vicina chiesa di San Giacomo di Vedeita, distrutta solo dopo il 1620. Quindi molto probabilmente fu proprio la chiesa costruita da Simone del Statuti che il Vescovo Nicolò Ormaneto visitò il 20 maggio 1572.

Aveva tre altari: il maggiore a settentrione sotto un volto, e fuori di questo, alla sua sinistra, l’altare del Santissimo, alla destra l’altare di san Macario. Le due porte erano sulle pareti occidentali e orientale e l’occhio sulla parete a mezzogiorno. Il fonte battesimale era addossato alla parete occidentale presso quella porta; il cimitero recinto di fosse. Non c’era fabbriceria, né cappellania, né chiericato. Dalla relazione della visita del 24 ottobre 1587 risulta che il Santissimo era stato portato sull’altare maggiore entro un tabernacolo di legno dorato.

La relazione della prima visita di San Gregorio Barbarico, il 16 settembre 1670 nomina l’“insigne locum intra fines huius paroeciae Ecclesiate Nove vulgo appellatum “il Lazzaretto”, magnifica fabricae structura erectum (l’anno antecedente dice l’iscrizione riferita dal Salomonico) hominum epidemiae labe infectum hospitio designatum”. In quo – dice la visita successiva dello stesso Barbarico, il 25 aprile 1695 – diversae et complures et permultae cellulae seu cubicola existunt. In eus ampla et spatiosa area sacellum exurgit rotundae formae quae eodem sacrum audiendum. Non vi parlerà più di questo lazzaretto dopo la visita il Vescovo Giustiniani il 20 maggio 1775.

Questa visita ricorda il ma”marmorem novum et elegans tabernaculum” della parrocchiale: era stato eretto nel 1771. In occasione della visita pastorale del vescovo Callegari il 27 febbraio 1887, il parroco lamentò che la chiesa era “insufficiente per la popolazione che dal tempo dell’erezione ad oggi era più che quadruplicata”. Sette anni dopo, il 15 febbraio 1894 ebbe inizio la costruzione di una nuova chiesa ad una sola navata ed in stile neoclassico con 5 altari. Come dice l’iscrizione nella chiesa stessa, cominciò ad essere ufficiata nel 1902, quando non era ancora ultimata.

Nel 1910 – come dice altra iscrizione – fu compiuto il bel campanile nello stesso stile. Il occasione della visita pastorale ddel 27 novembre 1932 il vescovo mons. Agostini esortò i fedeli a portare a compimento la chiesa. Fu ascoltato. Subito dopo la Pasqua del 1933 i lavori ebbero inizio: intonacatura di tutti i muri, decorazione a marmorino dell’interno e della facciata, basamento della chiesa in cemento, affreschi del soffitto rappresentanti la gloria di Maria SS. Assunta e gli Apostoli, intelaiatura in ferro dei 15 finestroni con vetri colorati, ecc. Il 21 novembre 1933, quando mons. Vescovo venne ad inaugurare i lavori, la chiesa pareva nuova. La consacrò il 21 luglio 1934.


Fonte: La diocesi di Padova nel 1972, Tipografia Antoniana Padova.